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Rinuncia abdicativa al diritto di proprietà

2025-10-22 10:00

Ilaria Motta

Diritto civile,

Rinuncia abdicativa al diritto di proprietà

Con sentenza n. 23093, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la piena validità della rinuncia abdicativa alla proprietà immobi

Con sentenza n. 23093, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la piena validità della rinuncia abdicativa alla proprietà immobiliare. La questione sottesa alla decisione della Corte muove da un lungo dibattito, che da diverso tempo ha interessato dottrina e giurisprudenza sul tema del diritto di proprietà e, segnatamente, sulla possibilità o meno di rinunciare alla titolarità del diritto di proprietà immobiliare con un semplice atto unilaterale. Una parte, infatti, sosteneva che, la proprietà come diritto reale assoluto potesse essere abbandonata con una semplice dichiarazione di volontà: la c.d. rinuncia abdicativa. Altri invece, negavano tale possibilità, sostenendo che non si può lasciare un bene immobile nel nulla giuridico, in quanto i beni immobili non possono rimanere senza titolare. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione sono intervenute per porre fine a tali contrasti e chiarire in via definitiva l’argomento. Si sono pronunciate affermativamente: si, è ammissibile la rinuncia abdicativa del diritto di proprietà  immobiliare, ma con precisi limiti e conseguenze. Anzitutto, la Corte ha spiegato che, la facoltà di disporre del diritto di proprietà include anche la facoltà di rinunciarvi. Si tratta di un atto unilaterale non recettizio, cioè non serve che qualcuno lo accetti per essere valido. Inoltre, la rinuncia non trasferisce il bene a nessuno, ma semplicemente fa cessare il diritto di proprietà. A questo punto dunque, la proprietà diventa “vacante” e per effetto dell’art. 827 del Codice Civile, il bene entra automaticamente nel patrimonio dello Stato. La Corte precisa anche che, la rinuncia deve essere fatta per iscritto, con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve essere trascritta nel registri immobiliari, in modo da rendere pubblico l’effetto di perdita della titolarità. Per cui non è sufficiente una semplice dichiarazione informale; è necessario un atto formale e trascritto. Di conseguenza, il giudice, non potrà annullare o disconoscere la rinuncia solo perché il proprietario lo fa per convenienza personale; il c.d. fine egoistico non è di per se illecito. Tuttavia, la rinuncia resta sindacabile qualora violi norme imperative, costituisca frode ai creditori o sia strumentale ad eludere la legge. Inoltre, con la rinuncia non si cancellano le obbligazioni già maturate: il proprietario resta comunque responsabile  per imposte, danni o obblighi sorti pima dell’atto di rinuncia. Si evince che la decisione della Corte ha effetti molto precisi e concreti. Fino ad oggi molti proprietari si trovavano “intrappolati” in immobili senza valore, ad esempio terreni inquinati, ruderi in zone franose o fabbricati con costi di manutenzione altissimi. Essi non avevano la possibilità di liberarsi del diritto di proprietà legalmente. Adesso, grazie a tale intervento, la Cassazione ha finalmente riconosciuto che la rinuncia abdicativa al diritto di proprietà è una forma legittima di dismissione del diritto di proprietà, purchè avvenga in maniera formale e trasparente. Il bene rinunciato entra ipso iure nel patrimonio dello Stato come bene vacante, ma questo non comporta alcun trasferimento volontario: è un atto ex lege. Questa sentenza rappresenta un passo importante nell’evoluzione del diritto di proprietà: riconosce che, se il diritto di proprietà comporta libertà, allora deve comprendere anche la libertà di non voler più essere proprietari. È una forma di autonomia privata negativa, coerente con l’art. 42 della Costituzione, che tutela la funzione sociale della proprietà, ma non impone a nessuno di conservarla contro la propria volontà.