L’articolo 328 del codice penale, intitolato “Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione”, rappresenta una delle norme più significative in materia di responsabilità penale dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio, perché affronta un fenomeno meno appariscente della corruzione o dell’abuso d’ufficio, ma non meno pericoloso per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni: quello dell’inerzia, del rifiuto ingiustificato e del silenzio amministrativo. La disposizione si articola in due commi, che contemplano due fattispecie diverse. Nel primo caso si punisce chi indebitamente rifiuta un atto che deve essere compiuto senza ritardo per ragioni di giustizia, sicurezza, ordine pubblico o igiene e sanità, dunque un atto urgente e indifferibile. Nel secondo caso, invece, il legislatore interviene su situazioni meno gravi ma comunque rilevanti, prevedendo che il funzionario o l’incaricato che non compie l’atto entro trenta giorni dalla richiesta dell’interessato, e che non espone le ragioni del ritardo, risponda penalmente della propria condotta. Si tratta di due ipotesi diverse, ma accomunate da una finalità comune: impedire che la pubblica amministrazione si sottragga ai propri doveri attraverso omissioni arbitrarie o dilatorie. La giurisprudenza ha chiarito più volte i contorni applicativi della norma. La Cassazione, con sentenza n. 45844 del 2014, ha affermato che il rifiuto di ricovero ospedaliero da parte di un medico responsabile può integrare il reato ex art. 328 quando il ricovero è indifferibile per ragioni di salute, sottolineando come in tali casi l’urgenza prevalga su ogni valutazione soggettiva. Ancora, la sentenza n. 49537 del 2014 ha ritenuto responsabili due infermieri che si erano rifiutati di assistere una paziente in gravi condizioni: non era sufficiente invocare la discrezionalità tecnica, poiché la gravità della situazione imponeva un intervento immediato. In altri casi la Corte ha invece escluso il reato, come nella sentenza n. 2266 del 2015, relativa a una guardia medica che non aveva disposto un’immediata visita domiciliare, ritenendo che non vi fosse stata una richiesta esplicita e che la valutazione clinica consentisse margini di discrezionalità: qui è emersa con forza la necessità di bilanciare il dovere di intervento con la libertà tecnico-professionale del sanitario. Non meno importante è la sentenza n. 35837 del 2007, in cui la Cassazione ha ritenuto integrato il reato per i vigili urbani che avevano omesso di elevare contravvenzioni in casi evidenti di divieto di sosta: il rifiuto di compiere un atto dovuto non perde rilievo penale anche se l’atto viene successivamente compiuto da altri. Quanto al secondo comma, la Cassazione con la sentenza n. 45629 del 2013 ha affermato che il silenzio serbato dall’amministrazione dopo la richiesta dell’interessato costituisce omissione penalmente rilevante quando si superi il termine di trenta giorni senza che vengano comunicate le ragioni del ritardo. Da queste pronunce emerge con chiarezza che il reato può assumere forme molto diverse, dalla mancata assistenza medica all’omissione di atti amministrativi ordinari, ma in ogni caso colpisce un comportamento che mina la fiducia del cittadino nella funzione pubblica. L’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, dunque la coscienza e volontà di rifiutare o omettere l’atto, senza necessità di un fine di profitto o di danno: questa scelta legislativa conferma che lo scopo della norma non è reprimere la corruzione in senso stretto, ma assicurare la funzionalità e la tempestività dell’azione amministrativa. Il fine ultimo dell’art. 328 c.p. si coglie proprio alla luce della sua ratio: garantire che la pubblica amministrazione non si trasformi in un apparato muto e inerte, ma operi come servizio effettivo al cittadino, secondo i principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall’art. 97 della Costituzione. In altre parole, la norma non serve soltanto a punire il funzionario negligente, ma a riaffermare quotidianamente che lo Stato è vincolato a rispettare i diritti e le esigenze della collettività, che non può chiudersi in un silenzio ostile o in ritardi ingiustificati. È proprio il rifiuto, il silenzio e l’omissione che, pur non apparendo come atti positivamente lesivi, possono risultare ancor più dannosi, perché negano al cittadino l’accesso alla tutela giurisdizionale o amministrativa e trasformano la funzione pubblica in un ostacolo. In definitiva, l’art. 328 c.p. deve essere letto come una norma di garanzia, che attraverso la minaccia della sanzione penale obbliga il pubblico agente a rispettare il proprio ruolo di servitore dello Stato e non di dominus del cittadino. La giurisprudenza, applicando la norma a casi concreti di sanità, di polizia e di amministrazione, ha reso evidente che il valore in gioco non è soltanto l’efficienza, ma la stessa credibilità delle istituzioni democratiche.