- Con la sentenza n. 48 del 2024, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 5, comma 4, lett. b), della legge della Regione Toscana n. 73/2018, nella parte in cui subordinava l’accesso a un contributo economico in favore delle famiglie con figli minori disabili alla residenza continuativa nel territorio regionale da almeno ventiquattro mesi. Il contributo, di natura integrativa e pari a 700 euro annui, era destinato a nuclei familiari con indicatore ISEE inferiore a 30.000 euro, ma il requisito temporale di radicamento impediva l’accesso a chi non avesse maturato il biennio di permanenza, indipendentemente dalla gravità della disabilità o dal livello di bisogno.
- La questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d’appello di Firenze, poneva il problema del contrasto tra il vincolo anagrafico e il principio di uguaglianza sostanziale sancito dall’art. 3 Cost., evidenziando l’irragionevolezza di un criterio selettivo non correlato alla finalità della misura e foriero di discriminazioni indirette. Nel dichiarare l’illegittimità della norma, la Corte ha ribadito un principio ormai consolidato nella propria giurisprudenza: anche le prestazioni sociali non riconducibili ai livelli essenziali devono essere erogate secondo criteri che rispettino i vincoli di ragionevolezza, proporzionalità e non discriminazione (ex multis, sentt. nn. 222/2013, 44/2020, 7/2021). Laddove la misura persegua l’obiettivo di tutelare situazioni di particolare vulnerabilità, come quelle legate alla disabilità minorile, i requisiti di accesso devono essere funzionali alla valutazione effettiva del bisogno, e non basarsi su condizioni formali o temporali scollegate dalla ratio dell’intervento.
- Nel caso di specie, il requisito della residenza biennale è stato ritenuto irragionevole, poiché inidoneo a selezionare in modo equo i destinatari della misura e privo di ogni connessione logica con lo stato di necessità. La Corte ha escluso che il requisito potesse essere giustificato da esigenze di contenimento della spesa o dalla volontà di prevenire comportamenti opportunistici: l’entità ridotta del beneficio e il suo carattere simbolico rendono implausibile ogni intento strumentale da parte dei richiedenti. Di particolare rilievo è l’inquadramento della fattispecie nell’ambito delle discriminazioni indirette. La Corte valorizza, in linea con precedenti significativi (sentt. nn. 40/2011, 2/2013), il dato secondo cui una norma apparentemente neutra – come quella relativa alla durata della residenza – può produrre, in concreto, effetti escludenti nei confronti di soggetti disabili, già destinatari di forme di svantaggio strutturale. La disabilità, pur non costituendo parametro esplicito della selezione, viene ad assumere un ruolo centrale nella valutazione di costituzionalità, in quanto condizione soggettiva che aggrava la vulnerabilità dell’esclusione.
- In tale ottica, il requisito temporale finisce per determinare un trattamento deteriore proprio nei confronti di chi più necessita dell’intervento pubblico, introducendo una barriera formale che si traduce in una diseguaglianza sostanziale. Ulteriore elemento valorizzato dalla Corte è l’evoluzione legislativa sopravvenuta: con la legge regionale n. 54/2021, la Toscana ha infatti eliminato il requisito della residenza biennale, sostituendolo con la semplice residenza al momento della domanda. Tale mutamento conferma l’assenza di una giustificazione strutturale alla misura censurata e rende ancora più evidente la sua arbitrarietà, oltre che la discontinuità interna della disciplina.
- Tuttavia, la modifica normativa non sana gli effetti discriminatori prodotti nel triennio 2019–2021, bensì ne conferma ex post l’infondatezza costituzionale. La Corte riafferma così che il rispetto dei principi di ragionevolezza e uguaglianza deve valere anche per il passato, e che l’evoluzione della disciplina non può occultare l’illegittimità della normativa abrogata. La sentenza in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale volto a promuovere una lettura sostanziale dell’uguaglianza nell’ambito delle politiche sociali regionali. In tale prospettiva, l’adozione di criteri selettivi basati su elementi formali – come il tempo di residenza – deve essere sottoposta a un controllo particolarmente rigoroso, specie quando l’intervento pubblico mira alla tutela di diritti fondamentali legati alla dignità e all’inclusione delle persone con disabilità. Pur nel rispetto dell’autonomia legislativa regionale, la Corte riafferma che le misure di sostegno economico, anche se non riconducibili ai LEP, devono rispettare un nucleo costituzionalmente garantito di protezione del bisogno. Il criterio della residenza, lungi dal potersi trasformare in una logica di reciprocità contributiva, deve essere impiegato con estrema cautela, affinché non si traduca in una barriera all’accesso per le fasce più fragili della popolazione. La funzione del welfare, in quanto espressione del principio solidaristico (art. 2 Cost.) e personalista (art. 3, co. 2, Cost.), esige infatti che l’allocazione delle risorse pubbliche sia orientata alla tutela effettiva dei diritti sociali, secondo logiche inclusive e non discriminatorie.
