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Diritti fondamentali e inerzia legislativa

2025-07-04 10:30

Calogero Jonathan Amato

Diritto costituzionale,

Diritti fondamentali e inerzia legislativa

La sentenza n. 242 del 2019 è il frutto dell’udienza pubblica che si è svolta il 24 settembre 2019. I punti 1 e 1.1 del Ritenuto in fatto coincidono e

La sentenza n. 242 del 2019 è il frutto dell’udienza pubblica che si è svolta il 24 settembre 2019. I punti 1 e 1.1 del Ritenuto in fatto coincidono esattamente con quanto riportato nell’ordinanza n. 207 al punto 1 del Ritenuto in fatto; si riprende dunque, pari pari, quanto è accaduto a “DJ Fabo” e l’impostazione del giudice a quo. Una parziale differenza si può riscontrare nel riferimento alla legge n. 219 del 2017, in quanto nell’ordinanza si assume che tale legge «sancisce l’obbligo di rispettare le decisioni del paziente, anche quando ne possa derivare la morte», mentre nella sentenza si afferma che «sancisce in modo espresso il diritto della persona capace di rifiutare qualsiasi tipo di trattamento sanitario, ancorché necessario per la propria sopravvivenza (compresi quelli di nutrizione e idratazione artificiale), nonché il divieto di ostinazione irragionevole nelle cure, individuando come oggetto di tutela da parte dello Stato «la dignità nella fase finale della vita». I punti 2 e 3 del Ritenuto in fatto della sentenza riprendono quanto già affermato in precedenza circa l’intervento in giudizio del Presidente del Consiglio dei ministri e dell’imputato nel giudizio a quo, anche se nella sentenza vengono sviluppate più nel dettaglio. Il punto 5 riporta sinteticamente quanto deciso undici mesi prima e il punto 6 riporta il contenuto della memoria depositata dalla difesa di Marco Cappato in vista dell’udienza, nella quale si prende atto del fatto che «[n]essun seguito hanno,(…), avuto le proposte di legge presentate, che prospettavano, peraltro, soluzioni sensibilmente diverse tra loro». Il  Giudice costituzionale considera che «[c]on l’ordinanza n. 207 del 2018, questa Corte ha già formulato una serie di rilievi e tratto una serie di conclusioni in ordine al thema decidendum. Gli uni e gli altri sono, in questa sede, confermati. A essi si salda, in conseguenza logica, l’odierna decisione». Dunque, si deve prendere atto «di come nessuna normativa in materia sia sopravvenuta nelle more della nuova udienza. Né, d’altra parte, l’intervento del legislatore risulta imminente». «In assenza di ogni determinazione da parte del Parlamento, questa Corte non può ulteriormente esimersi dal pronunciare sul merito delle questioni, in guisa da rimuovere il vulnus costituzionale già riscontrato con l’ordinanza n. 207 del 2018. Non è a ciò d’ostacolo la circostanza che (…) la decisione di illegittimità costituzionale faccia emergere specifiche esigenze di disciplina che, pur suscettibili di risposte differenziate da parte del legislatore, non possono comunque sia essere disattese. Il rinvio disposto all’esito della precedente udienza risponde, infatti, con diversa tecnica, alla stessa logica che ispira, (…), il collaudato meccanismo della “doppia pronuncia” (…). Come più volte si è avuto modo di rilevare, «posta di fronte a un vulnus costituzionale, non sanabile in via interpretativa – tanto più se attinente a diritti fondamentali – la Corte è tenuta comunque a porvi rimedio» (…). Occorre, infatti, evitare che l’ordinamento presenti zone franche immuni dal sindacato di legittimità costituzionale: e ciò «specie negli ambiti, come quello penale, in cui è più impellente l’esigenza di assicurare una tutela effettiva dei diritti fondamentali, incisi dalle scelte del legislatore» (sentenza n. 99 del 2019). Risalente, nella giurisprudenza di questa Corte, è l’affermazione per cui non può essere ritenuta preclusiva della declaratoria di illegittimità costituzionale delle leggi la carenza di disciplina (…) che da essa può derivarne, in ordine a determinati rapporti (sentenza n. 59 del 1958). Ove, però, i vuoti di disciplina, pure in sé variamente colmabili, rischino di risolversi a loro volta – come nel caso di specie – in una menomata protezione di diritti fondamentali (suscettibile anch’essa di protrarsi nel tempo, nel perdurare dell’inerzia legislativa), questa Corte può e deve farsi carico dell’esigenza di evitarli, non limitandosi a un annullamento “secco” della norma incostituzionale, ma ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari, ancorché non a contenuto costituzionalmente vincolato, fin tanto che sulla materia non intervenga il Parlamento (in questo senso, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 e 222 del 2018 e n. 236 del 2016)» . Nel provvedimento, si richiamano poi, a titolo esemplificativo, altre situazioni in cui la Corte si è fatta carico di evitare «intollerabili vuoti di tutela per i valori protetti» inerenti all’aborto e alla procreazione medicalmente assistita. «Nell’odierno frangente, peraltro, un preciso «punto di riferimento» (…) già presente nel sistema (…) è costituito dalla disciplina racchiusa negli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017: disciplina più volte richiamata, del resto, nella stessa ordinanza n. 207 del 2018. La declaratoria di incostituzionalità attiene, infatti, in modo specifico ed esclusivo all’aiuto al suicidio prestato a favore di soggetti che già potrebbero alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro sopravvivenza, ai sensi dell’art. 1, comma 5, della legge ora citata (…). Il riferimento a tale procedura – con le integrazioni di cui si dirà in seguito – si presta a dare risposta a buona parte delle esigenze di disciplina poste in evidenza nell’ordinanza n. 207 del 2018. (…) Similmente a quanto già stabilito da questa Corte con le citate sentenze n. 229 e n. 96 del 2015, la verifica delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio deve restare peraltro affidata – in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore – a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale. A queste ultime spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze. La delicatezza del valore in gioco richiede, inoltre, l’intervento di un organo collegiale terzo, munito delle adeguate competenze, il quale possa garantire la tutela delle situazioni di particolare vulnerabilità. Nelle more dell’intervento del legislatore, tale compito è affidato ai comitati etici territorialmente competenti». «Quanto, infine, al tema dell’obiezione di coscienza del personale sanitario, vale osservare che la presente declaratoria di illegittimità costituzionale si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato». «I requisiti procedimentali dianzi indicati, quali condizioni per la non punibilità (…) valgono per i fatti successivi alla pubblicazione della presente sentenza (…). (…) Riguardo ai fatti anteriori la non punibilità dell’aiuto al suicidio rimarrà subordinata, in specie, al fatto che l’agevolazione sia stata prestata con modalità anche diverse da quelle indicate, ma idonee comunque sia a offrire garanzie sostanzialmente equivalenti. (…) Requisiti tutti la cui sussistenza dovrà essere verificata dal giudice nel caso concreto». «Questa Corte non può fare a meno, peraltro, di ribadire con vigore l’auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati». Riscontrata dunque la violazione degli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., nella sentenza n. 242 del 2019 si dichiara «l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente».