Con l’ordinanza del 1° dicembre 2022, il Tribunale di Marsala ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 444 c.p.p., nella parte in cui, anche in relazione ai reati contravvenzionali, prevede la riduzione della pena “fino a un terzo”, anziché “della metà”, come previsto dall’art. 442, comma 2, c.p.p. per il giudizio abbreviato. La disparità normativa – introdotta dalla l. n. 103/2017, che ha elevato lo sconto di pena per il giudizio abbreviato in caso di contravvenzione – viene considerata irragionevole e lesiva dei principi di uguaglianza, del diritto di difesa e del giusto processo (artt. 3, 24 e 111 Cost.). La Corte costituzionale, con la sentenza n. 63 del 2024, ha dichiarato inammissibili le censure fondate sugli artt. 24 e 111 Cost. per difetto di motivazione, e ha ritenuto non fondata quella proposta in riferimento all’art. 3 Cost., riaffermando la legittimità della differenziazione tra i due riti alternativi. Quanto ai profili attinenti agli artt. 24 e 111 Cost., la Corte ha rilevato l’assenza di un’argomentazione specifica circa la lesione dei diritti di difesa e delle garanzie del giusto processo. In ossequio al principio di autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, e in linea con la sua giurisprudenza costante, la Corte ha ribadito che la sola evocazione di parametri costituzionali, priva di un’effettiva motivazione sul punto, non è idonea a fondare la non manifesta infondatezza della questione. Nel merito, la Corte ha rigettato la censura relativa all’art. 3 Cost., ritenendo non irragionevole la scelta legislativa di prevedere uno sconto di pena maggiore nel giudizio abbreviato per le contravvenzioni. In particolare, ha valorizzato le profonde differenze tra i due riti alternativi: il giudizio abbreviato mantiene una cognizione piena da parte del giudice, con un accertamento autonomo della responsabilità; il patteggiamento, invece, si fonda su un accordo tra le parti e limita il potere decisorio del giudice, che non può modificare la pena concordata se ritenuta congrua. La Corte ha anche richiamato il diverso grado di impegno processuale richiesto dai due riti, le differenti possibilità di impugnazione, e soprattutto il distinto regime di effetti extrapenali. In particolare, la sentenza di patteggiamento: è inappellabile; non ha efficacia nei giudizi civili, amministrativi, disciplinari, tributari o contabili; può essere subordinata alla concessione della sospensione condizionale; esclude le pene accessorie e le misure di sicurezza nei casi più comuni. La sentenza n. 63/2024 si pone in continuità con la giurisprudenza costituzionale che riconosce al legislatore un’ampia discrezionalità nella disciplina dei riti alternativi, censurabile solo nei casi di manifesta irragionevolezza. In tal senso, la scelta di incentivare il giudizio abbreviato per le contravvenzioni – ritenuto meno appetibile sotto il profilo pratico – senza estendere automaticamente tale beneficio al patteggiamento, risponde a una logica di bilanciamento tra efficienza, funzione deflattiva e differenziazione sistematica tra istituti. Tuttavia, non può negarsi che, sul piano delle finalità processuali, il patteggiamento garantisca una definizione ancora più rapida e “a costo zero” per lo Stato. In quest’ottica, pur ritenendo legittima la disparità, la Corte non esclude che il legislatore possa – o debba – riflettere su un possibile adeguamento, anche selettivo, del beneficio sanzionatorio, specie per le ipotesi meno gravi o in funzione premiale della scelta dell’imputato di rinunciare integralmente alla fase dibattimentale. La decisione della Corte costituzionale riafferma, da un lato, la disomogeneità strutturale tra giudizio abbreviato e patteggiamento, quale fondamento per il trattamento differenziato, e dall’altro, la tenuta costituzionale della discrezionalità legislativa nel disegno degli istituti processuali. Tuttavia, resta aperta la riflessione politico-criminale sul trattamento “meno favorevole” del patteggiamento in caso di contravvenzioni, pur essendo esso lo strumento che assicura la maggiore economia processuale. Il legislatore potrebbe, in una prospettiva evolutiva, considerare una più equa modulazione dei benefici premiali, fondata su una rinnovata gerarchia dei riti alternativi, basata non solo sulla struttura, ma anche sull’efficienza concreta.