Gubernaculum e Iurisdictio costituiscono i due poli fondamentali lungo i quali si è sviluppata la lunga storia del costituzionalismo. Da un lato, il potere viene limitato attraverso il governo della legge; dall’altro, vi è il potere stesso e la sua legittimazione. Il nodo centrale del costituzionalismo consiste nel trovare un equilibrio tra queste due dimensioni, affrontando una questione cruciale, brillantemente sintetizzata da Passerin d’Entreves: «È possibile controllare il potere senza contraddire la logica stessa della sovranità, che attribuisce al potere essenziali caratteristiche quali unità, indivisibilità e assolutezza?» E ancora: «Può l’esercizio del potere essere ordinato in modo da garantire quella regolarità, quella normalità, quella “sicurezza” dei rapporti che, come osservava Hobbes, costituiscono la condizione minima necessaria affinché il potere assoluto non degeneri in arbitrio, cessando di essere “potere” per diventare pura “forza”?»
Questi interrogativi hanno impegnato per secoli la riflessione filosofico-politica e costituzionalistica, trovando tuttavia una soluzione concreta nella storia, che ha saputo conciliare istituti e principi di legittimazione altrimenti percepiti come opposti, armonizzando governo della legge e governo del popolo. Come osserva Francis Fukuyama in Political Order and Political Decay, lo sviluppo politico può essere analizzato attraverso la combinazione tra Stato sovrano, rule of law e responsabilità democratica. Tali componenti, comparsi e consolidatisi in epoche diverse, si sono combinate in modi differenti nei vari contesti nazionali. Nelle società liberal-democratiche, la storia ha prodotto un equilibrio tra questi elementi, generando regimi in cui coesistono forme diverse di legittimazione del potere. È fondamentale distinguere tra la legittimazione derivante dalla sovranità popolare e quella dello Stato di diritto, che attribuisce prevalenza alla legge su ogni altro potere, anche su quello esercitato direttamente dal popolo o dai suoi rappresentanti.
L’architettura costituzionale della democrazia liberale si fonda dunque sull’equilibrio tra spinte contrapposte: politica e diritto, legittimazione popolare e legittimazione tecnica, basata su imparzialità, indipendenza e argomentazione razionale. In questa distinzione, tra legis latio e legis executio, risiede la versione contemporanea della separazione dei poteri. Il circuito politico, fondato sulla sovranità popolare, si manifesta nelle elezioni, nella formazione di Parlamento e Governo, e si sviluppa attraverso interazioni complesse nella sfera pubblica, mediate da partiti, associazioni, libertà di informazione, e nelle istituzioni deputate all’indirizzo politico, integrate da strumenti di democrazia diretta previsti dagli ordinamenti costituzionali. È nel circuito politico che si formano le leggi, fondate sulla legittimazione democratica.
Tuttavia, una volta approvate, le leggi si distaccano dal loro autore e vengono immesse nel circuito autonomo del diritto, dove devono essere selezionate, interpretate e applicate. Tra legge generale e norma concreta interviene l’interpretazione, un’attività intellettuale dotata di variabile grado di creatività. Il prodotto principale della politica, la legge, risulta inefficace se non interpretato, e la funzione creativa del giudice è ormai riconosciuta come parte integrante del law making. Non si tratta più di un rapporto puramente logico-deduttivo tra legge e norma concreta, ma di un rapporto mediato da integrazione discrezionale. Come sottolineava Kelsen nella Teoria generale delle norme, tra norma generale e norma individuale «non esiste un rapporto diretto, ma solo un rapporto indiretto, mediato dall’atto di volontà, di cui la norma individuale è il senso».
L’applicazione della teoria della “precomprensione” all’interpretazione ha inoltre reso evidente l’ampiezza della creatività giudiziaria: il caso non può comprendersi se non in riferimento alla norma, e la norma stessa si deve orientare al caso (Zagrebelsky). In una società pluralistica, i diversi punti di vista degli interpreti arricchiscono inevitabilmente la gamma delle possibili interpretazioni. Questa dinamica si inserisce in un contesto contemporaneo in cui ulteriori fattori amplificano la creatività del giudice: legislazione per clausole generali, leggi compromissorie che rimandano alla determinazione dei contenuti effettivi, complessità dei sistemi di fonti soggetti a spinte contrapposte tra integrazione sovranazionale e decentramento politico, e crescente domanda di tutela dei diritti, individuali e collettivi, spesso insoddisfatta dal circuito democratico rappresentativo.
Il risultato è il progressivo superamento dello schema montesqueiano del “potere nullo” del giudice, verso il modello madisoniano del “terzo gigante”, che si affianca a esecutivo e legislativo. Già nel 1984, Mauro Cappelletti, con il suo libro Giudici legislatori?, sottolineava come l’attività interpretativa del giudice non sia meramente dichiarativa, ma partecipi attivamente alla creazione normativa.
