Analizzando i cinque contratti collettivi nazionali e la sintesi degli istituti adottati a favore dei disabili e dei loro caregivers, mettono in evidenza le differenze e le similitudini degli strumenti adoperati in ciascun settore, per favorirne l’effettiva inclusione nel contesto lavorativo. Un primo dettaglio che risalta dall’analisi condotta, è la vastità di terminologie diverse per definire il lavoratore in questione, talvolta definito “diversamente abile”, “handicappato”, “invalido”, ma molto più spesso distinto in base alla causa della sua disabilità, nonché della gravità della patologia o delle cure a cui è sottoposto. Questo è un aspetto rilevante dal momento che comporta tutele diverse per diverse tipologie o causali di disabilità. Pertanto, è possibile affermare che il problema definitorio dei lavoratori disabili non viene superato e risolto nella contrattazione collettiva, al contrario viene aggravato. Inoltre, risulta evidente l’assenza di previsioni in merito agli accomodamenti ragionevoli. Sebbene sia giusto disciplinare gli accomodamenti ragionevoli in sede di contrattazione individuale dal momento che sono interventi personalizzati, è pur sempre vero che la contrattazione nazionale potrebbe quantomeno diffondere buone pratiche in materia, e non limitarsi soltanto alla formula “abbattimento e superamento delle barriere architettoniche”. Dopo la condanna all’Italia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sarebbe lecito osservare un maggiore interesse delle Parti in merito agli accomodamenti ragionevoli, anche al livello nazionale della contrattazione collettiva. Nel bilanciare interessi contrapposti e confliggenti, le Parti sociali hanno agito su diversi fronti, talvolta in modo uguale nei diversi settori, altre volte in modo del tutto diverso. In primo luogo, emerge il rinvio alla bilateralità di settore, in cui l’impresa e le organizzazioni sindacali aziendali potranno discutere e scambiarsi informazioni al fine di rendere più efficiente l’inserimento e l’inclusione dei lavoratori disabili nell’organizzazione aziendale, anche attraverso la rimozione delle barriere architettoniche e la ricerca di finanziamenti. Tuttavia, se in merito a questo istituto i settori sembrano uniformarsi, lo stesso non si può dire per l’istituzione di nuove figure per l’inclusione dei disabili nel contesto organizzativo. Infatti, tale previsione è stata inserita solo nel Ccnl del credito, con l’esplicito riferimento al c.d. disability manager. Si auspica un intervento delle Parti sociali anche negli altri settori in merito all’inserimento di nuove figure contrattuali, in modo da rendere maggiormente operativo il disposto legislativo in riferimento al Responsabile dell’inserimento lavorativo, che altrimenti potrebbe rimanere ampiamente disapplicato. In merito alla richiesta di maggiore flessibilità contrattuale da parte dei lavoratori disabili e dei loro caregivers, in modo similare le Parti sociali hanno risposto con lo strumento del part-time, in cui si accordano vantaggi nell’accesso all’istituto per i lavoratori disabili e per i loro assistenti, in modo più o meno rilevante a seconda del settore. Con questo stesso fine vengono talvolta menzionati anche il telelavoro e il lavoro agile. In merito al lavoro agile, recentemente, le novità introdotte dal d. lgs. n. 105/2022 hanno modificato le priorità nell’accesso all’istituto, accordando espressamente all’art. 18, comma 3-bis, priorità nell’accesso ai lavoratori con figli disabili, ai lavoratori disabili gravi secondo l’art. 4, legge n. 104/1992 e ai caregivers. Per quanto attiene la richiesta di maggiori giorni da dedicare alla cura di sé stessi o degli altri, espressa dai lavoratori disabili e dai loro assistenti, le Parti rispondono con alcune previsioni in materia di agevolazioni nella fruizione di ferie, permessi, congedi e aspettative. Inoltre, ormai diffuso risulta essere lo strumento solidale di cessione delle ferie, in modo volontario, da parte dei colleghi, a favore di lavoratori disabili o caregivers. Allo stesso modo le Parti sociali, considerando la necessità per i lavoratori in questione di assentarsi, si preoccupano di tutelare il loro posto di lavoro attraverso periodi di comporto più lunghi, oppure non considerando ai fini del comporto le assenze per motivi di cura, nonché attraverso la previsione di periodi di aspettativa non computabile ai fini del comporto. Certamente, per come impostata, la tutela in questione non permette a tutti i lavoratori disabili di beneficiarne, ma solo ad alcuni, quali, ad esempio, coloro che sono affetti da “gravi patologie che richiedono terapie salvavita”. Queste formulazioni sono in grado di limitare la tutela solo ad alcuni disabili, escludendone altri, motivo per cui si auspica una uniformazione definitoria anche in sede contrattuale. Rimanendo in tema di assenze, le Parti si trovano d’accordo nel ridurre l’assenteismo penalizzando le assenze brevi e ripetute. Inoltre, in tutti i settori è prevista l’assistenza sanitaria integrativa, generalmente attraverso l’istituzione di Fondi che sostengono i lavoratori e i loro familiari, erogando prestazioni sanitarie integrative rispetto a quelle fornite dal Servizio Sanitario Nazionale. Infine, dall’analisi dei cinque Ccnl in questione risulta che l’andamento generale sia quello di demandare alla contrattazione aziendale la disciplina degli istituti a favore dei lavoratori disabili e dei caregivers. Sicuramente la contrattazione di aziendale può apportare un maggior livello di dettaglio e di personalizzazione, ma la contrattazione nazionale è necessaria per rendere effettivo il diritto e per determinare un livello minimo di tutela in tutto il settore.
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