È illegittimo il diniego, opposto dalla P.A. alla domanda di mutamento del cognome, qualora motivato sulla base della eccezionalità del cambiamento stesso; infatti, come ritenuto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, l’assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell’identità del figlio, sicché la P.A. deve evidenziare specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all’accoglimento dell’istanza
Dal Consiglio di Stato arriva una significativa apertura al cambio del cognome per motivi affettivi o meglio "anaffettivi" nei confronti di un genitore (il padre). La Terza Sezione, sentenza del 19 settembre 2023, n. 8422 (Pres. Corradino, Est. Santoleri), ha infatti chiarito che l'assegnazione del cognome deve intendersi funzionale alla migliore costruzione dell'identità del figlio, sicché la P.A. deve evidenziare specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento dell'istanza.
Il caso di partenza era quello di una figlia che aveva chiesto di cambiare il proprio cognome prendendo quello della madre, perché il genitore, dopo la separazione ed il divorzio non si sarebbe mai preoccupato del suo sostentamento, né avrebbe avuto interesse ad instaurare con lei un rapporto di tipo affettivo, quale dovrebbe essere quello tra genitore e figlia. Al contrario, il padre avrebbe sistematicamente tenuto, nei suoi confronti, un atteggiamento anaffettivo ed arrogante in occasione di incontri casuali verificatisi nel tempo, negandole perfino il saluto. La ragazza aveva dunque chiesto di assumere il cognome della madre "per onorare l'impegno e la forza con cui la figura materna ha saputo compensare un vuoto e una ferita".
La pubblica amministrazione, però, aveva respinto l'istanza, affermando che "il nome e il cognome sono elementi fondanti dell'identità personale e (…) le modalità di attribuzione degli stessi sono dettate in maniera esplicita e dettagliata dal codice civile e dall'ordinamento dello stato civile". Inoltre, aveva aggiunto, "la modificazione del nome e del cognome rivestono carattere oggettivamente rilevanti e può essere ammessa solo ed esclusivamente in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata e pregnante documentazione e da solide e significative motivazioni.".
La ragazza ha proposto ricorso contro la decisione del Ministero e il Tar l'ha accolto per carenza nella motivazione nel diniego. Contro quest'ultima decisione il Viminale ha proposto appello al Consiglio di Stato affermando, tra l'altro, che il diritto al nome "deve fronteggiarsi con l'esigenza pubblicistica alla stabilità e alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale, e quindi, alla certezza degli atti e dei rapporti giuridici". Ha quindi richiamato l'articolo 6 c.c. secondo cui "non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità di legge indicati". Non vi è invece un "diritto soggettivo" al cambiamento del nome, ma semmai sussiste una posizione di interesse legittimo.
Il Consiglio di Stato ha respinto l'appello bocciando questa ricostruzione. Se è vero argomenta che siamo di fronte ad un "interesse legittimo" e che non vi è "un diritto di 'scegliere' il proprio nome"; va ricordata però l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale (131/2022, con cui è stata dichiarata l'illegittimità di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre) e delle Corti europee passate da un approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia ad un processo di valorizzazione del diritto all'identità personale.
Ed ha così bocciato il ricorso della P.A, ritenendo che la ragazza avesse prodotto quanto poteva e che le ragioni addotte a sostegno della domanda sono "ragioni serie e ponderate, che avrebbero meritato un maggior approfondimento da parte dell'Amministrazione, specie se si considera che – come ha rettamente rilevato il Tar – non sono state evidenziate "specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento dell'istanza".
"Il cambio di cognome, in pratica - conclude la decisione - costituisce, per la richiedente, lo strumento per recidere un legame solo di forma, impostole per legge, che negli anni ha pesato sulla sua condizione personale, in quanto del tutto estraneo alla sua identità personale".
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