Prima di giungere alla rivoluzionaria legge sudcoreana per contrastare il bullismo ponendo un filtro relativamente all’ammissione nelle università occorre fare una breve parentesi ripercorrendo le tappe fondamentali che hanno portato a tale decisione priva di precedenti.
Durante il ciclo di ammissione del 2025 sei delle dieci università sudcoreane maggiormente esponenziali nel Paese hanno respinto i candidati per “demerito civile” e non basandosi esclusivamente sul rendimento scolastico, come spiegato dalla deputata Kang Kyung-sook. Ma dal 2026 diventerà una legge nazionale secondo la quale tutte le università del Paese dovranno tenere conto dei precedenti di violenza scolastica per determinare l’ammissione.
Ma prima di dare pareri al riguardo bisogna necessariamente ricordare che in Corea del Sud il concetto di ammissione alle università non coincide con il nostro. Da noi, difatti, la decisione circa l’iniziare un percorso universitario o meno dipende esclusivamente dalla volontà del soggetto in tal senso. In Corea del Sud, invece, per poter essere ammessi in qual si voglia università occorre prima aver superato il CSAT, College Scholastic Ability Test, noto localmente come Suneung.
Si tratta di un esame standardizzato e altamente competitivo che permette di determinare l’ammissione o meno alle università in particolar modo alle più prestigiose. La prova si svolge in una sola giornata ed ha una durata di circa nove ore. Essa consta di diverse materie, tra le quali matematica, lingue straniere ma principalmente l’inglese, studi sociali, scienze e un’ulteriore lingua straniera o caratteri cinesi classici. Il punteggio ottenuto da detta prova è il solo o principale fattore per l’ammissione alle università. Principale perché alcune università, specialmente le più pregiose, possono chiedere in aggiunta e si badi non in alternativa ma come requisito ulteriore, anche i voti scolastici o certificazioni linguistiche.
Gli studenti sudcoreani sono portati a studiare anche ventuno ore al giorno per ottenere un punteggio quanto meno sufficiente per accedere all’istruzione universitaria. Per la nostra visione di istruzione tutto ciò può apparire assurdo se non addirittura tossico.
Colpire l’ammissione alle università in Corea del Sud, data la rilevanza sociale e lavorativa che essa comporta, suscita molto tumulto tra i cittadini sudcoreani. Ma tale provvedimento è scaturito dall’emergenza sociale che da tempo colpisce la Corea del Sud in cui ci sono sempre più casi di suicidi dovuti al bullismo scolastico. La ratio della legge nonché il suo obiettivo primario è, infatti, quello di creare un ambiente scolastico e lavorativo sano ed equilibrato, promuovendo la civiltà tra gli studenti che per poter accedere all’università dovranno avere un comportamento rispettoso fin dalle elementari, dato che il merito scolastico non basta più. Adesso serve anche il rispetto.
La scelta sudcoreana, però, può portare anche ad una ulteriore riflessione: Data l’importanza ed il prestigio sociale che comporta il poter frequentare l’università, essa implicitamente permette ai pochi studenti che riescono ad avere un punteggio adeguato di diventare le future classi dirigenti del Paese una volta completato il proprio percorso universitario. Dunque la creazione di questa legge permetterebbe alle future classi dirigenti di avere non solo ottimi rendimenti accademici ma anche umanitari e di civiltà, per far sì che possano meglio rappresentare e gestire le responsabilità di un Paese. La decisione se ritenere o meno un precedente dello studente adeguato a precludergli l’ammissione all’università sarà interamente rimessa alla discrezionalità delle università.
E in Italia sarebbe possibile? L’idea che una legge nazionale possa precludere l’accesso all’università di studenti con precedenti penali, non essendo previsto il reato di bullismo ma solo tutti i reati ad esso connessi come le lesioni, la violenza privata ecc.…, è assolutamente irrealistico ed incostituzionale in quanto la nostra Costituzione sancisce il principio di uguaglianza, il diritto all’istruzione ed ulteriori diritti dell’individuo nonché tutela anche indirettamente la privacy. A rafforzare ciò in Italia è possibile trovare dei P.U.P., Poli Universitari Penitenziari, che collaborano con le università per garantire il diritto allo studio ai detenuti o persone sottoposte a limitazioni della libertà personale agevolando la prosecuzione dei loro studi.
Come ultima possibilità si potrebbe valutare la fattispecie delle università private, di cui abbiamo avuto esempi di come, in base al loro Statuto, si sia potuto ritagliare qualche margine di libertà ed autonomia relativamente all’impronta da dare al percorso universitario, si pensi alla Cattolica oppure al Sacro Cuore, i quali sono atenei confessionali e come tali richiedono un “gradimento” dell’autorità ecclesiastica ad esempio per i docenti, come previsto dal Concordato tra Stato e Chiesa.
Sarebbe possibile in futuro estendere una concezione simile per quanto concerne la non ammissione di studenti che hanno tenuto condotte di bullismo, magari ponendo nello Statuto dell’università privata l’obiettivo di promuovere il benessere e la sicurezza della comunità universitaria come similmente fatto dalla Corea del Sud senza però, ovviamente, violare l’ordinamento giuridico ed i vari principi costituzionali in ogni caso invalicabili?
Ad oggi la risposta risulta negativa.
